Il segretario del PD Pierluigi Bersani ha rilasciato una serie di dichiarazioni, in questi ultimi mesi, a proposito della raccolta firme per il referendum contro il Porcellum.
Riporto di seguito alcune di queste dichiarazioni, che raggruppo qui sotto per poi commentarle, ritenendole altamente istruttive:
1- Vorrei che nessun partito mettesse il cappello sul referendum [...] detto questo, i promotori stanno raccogliendo le firme alle nostre feste, e se quando arriviamo al referendum decidiamo che si deve combattere, combatteremo
2- Il quesito referendario non corrisponde esattamente a quello che noi vogliamo e pensiamo che la via parlamentare sia quella che tocca a un partito. [..] siamo amichevoli anche con chi si muove sul referendum perché riteniamo possa essere uno stimolo al Parlamento a far presto e perché, in extrema ratio, può essere uno strumento per superare il Porcellum che è una legge demenziale.
3- Il Pd non promuove i referendum, perché si tratta di strumenti a disposizione della società civile [...] Il Pd può appoggiare un referendum […] ma non promuoverli se vogliamo avere un buon equilibrio tra partiti e società civile.
Dichiarazioni istruttive, dicevo, perché possiamo tranquillamente leggervi il fallimento politico del ceto dirigente del PD, o la confusione del suo segretario. Esagero? Vediamo nel dettaglio.
A leggere quanto attribuito a Bersani, sembra che nel paese da una parte ci siano i partiti, e dall’altra la cosiddetta società civile. Ma questa, mi pare, è l’accusa urlata quasi quotidianamente da chi si fa paladino dell’antisistema: il divario incolmabile tra i cittadini da una parte e i politici che perseguono solo ed esclusivamente i propri interessi dall’altra. Quella di Bersani, in sostanza, più di una strategia politica è un’ammissione di colpa di fronte a una simile accusa.
Inoltre, se “società civile” e “partiti” sono su sponde diverse, viene da chiedere: in cosa i partiti sono diversi? Nel non essere “società” o nel non essere qualcosa di “civile”? La distinzione appare illogica, elitaria e sostanzialmente oligarchica: anche se la legge elettorale è “demenziale”, nella visione di Bersani solo chi è stato eletto può partecipare ad un qualunque processo politico volto a modificarla.
Referendum e attività parlamentare sembrano iniziative inconciliabili. Ma questo è falso per due motivi.
Primo, il referendum non è stato promosso dalla fantomatica “società civile”, ma ha visto spendersi personalmente un parlamentare del PD, Arturo Parisi.
Secondo, l’articolo 75 della Costituzione non parla né di partiti né di società civile: questa distinzione è solo nel pensiero di Bersani. Lo stesso PD, nell’articolo 27 del proprio Statuto, cita lo strumento del “referendum interno”.
Per le dinamiche di partito i referendum vanno bene, mentre per questioni di interesse nazionale no?
È dal 2007, inoltre, che si parla nel centro-sinistra di dopo Porcellum, alternative al Porcellum, e anche allora il referendum era visto con sospetto e sfiducia: alcuni parlamentari hanno cambiato idea, altri no, ma non mi pare questo il punto. Il dato è che la raccolta firme lanciata lo scorso 5 luglio costituisce, dal 2007 a oggi, la prima iniziativa politica concreta presa sull’argomento.
Prima, ma non unica: la seconda è la proposta di legge del PD, curiosamente presentata in Parlamento il 26 luglio scorso. Sul sito del PD si legge che: Lo stesso Bersani ha preannunciato all’ultima direzione nazionale del partito che il Pd chiederà la calendarizzazione della proposta in Senato, in quota opposizione, entro il 30 settembre.
La raccolta firme, curiosamente, terminerà il 30 settembre. Questa improvvisa accelerazione, dopo 4 anni di tentennamenti borbonici, sembra un modo poco elegante di boicottare il referendum. Anche perché, sia chiaro, la raccolta firme non è stata decisa il 4 luglio e dichiarata pubblicamente il 5: c’è naturalmente un retroterra di contatti, dibattiti, mobilitazione.
Non si tratta dunque, di quel che dice Bersani, ossia di “società civile” da una parte e “partiti” dall’altra. Si tratta di PD mobilitato per il referendum da una parte e PD mobilitato per bloccarlo dall’altra. E gli elettori? Non sono società civile? Non sono anche tra gli iscritti al Partito Democratico?
Naturalmente scrivo da persona coinvolta direttamente nella raccolta firme, e a tal proposito una cosa va detta. Io non raccolgo firme in quanto “società civile”. La “società civile” è un concetto di per sé astratto: è un’espressione linguistica per indicare un gruppo di persone, ha un valore ideologico, ma un partito è disciplinato giuridicamente, la “società civile” no. Io ho deciso di raccogliere firme perché la mobilitazione mi si è imposta come unica alternativa a dei partiti troppo presi dal restare immobili a discutere, immobilità che ha perpetrato per almeno 4 anni una legge definita dallo stesso Bersani “demenziale”.
Dichiararsi contrari nelle interviste, ma non intraprendere iniziative concrete, è suonato in questi 4 anni come una presa in giro. È un mio problema di sfiducia? Forse, o forse è memoria di quanto è successo con il referendum sull’acqua, quando Bersani dichiarava: “Pur guardando con simpatia chi si batte per l’acqua – ha detto – preferiamo presentare una legge direttamente in parlamento”.
Raccogliere firme è un’attività faticosa che richiede tempo e competenze, poiché bisogna conoscere i regolamenti, pena l’invalidazione delle firme. Richiede dei costi, perché la raccolta firme va fatta con continuità: un giorno di banchetto in più può fare la differenza, visto il poco tempo, e se uno raccoglie firme non può lavorare. Inoltre stampare i moduli costa, sedie, banchetti e gazebi non si trovano per strada.
Avere l’appoggio di un partito rappresenterebbe un aiuto concreto e fattivo, in termini di risorse, strutture, persone e promozione: non si tratterebbe certo di “mettere il cappello” sull’iniziativa a mo’ di griffe, di stampare sui moduli e sui gazebi Sponsored by Pierluigi Bersani.
Le parole di Bersani, dunque, appaiono una cortese ma sostanziale dichiarazione di boicottaggio verso la raccolta firme. Quando parla dell’essere “amichevoli anche con chi si muove sul referendum”, quell’anche riesce a esprimere perfettamente la malcelata ostilità.
Che vuol dire “anche”? Vuol dire per caso “guarda quanto siamo buoni e bravi, vi sopportiamo e ci mostriamo cortesi anche se fate una cosa che non ci piace”? Il senso parrebbe questo.
Faccio un esempio concreto. Nella mia città, Perugia, il centro storico sarà occupato dalla festa degli Enti Locali, denominata “Effervescenza democratica” dal 16 al 25, ossia l’ultima settimana utile per la raccolta firme. Una sorta di semi-festa del Partito Democratico, in sostanza, festa che di solito si teneva a Pian di Massiano, nei pressi dello Stadio. Uno spazio pubblico e nevralgico per la vita della città sarà completo appannaggio di un partito.
Ora, se i partiti sono da una parte, e la società civile dall’altra, come si concilia questa visione con la necessità pratica della raccolta firme? Mi sarà consentito mettere il banchetto in quella settimana, o dovrò mediare con il partito perché mi si lasci una briciola di centro-storico?
A chi promuove il referendum, e più in generale ai cittadini, serve che la classe dirigente del PD, più che il cappello, metta la faccia.
Matteo Pascoletti
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