Premesso che fare il capo del Pd è un mestieraccio, effettivamente riesce difficile capire perché lo stato maggiore di quel partito abbia dissipato in così breve tempo la preziosa lezione di primavera. Quelle elezioni (e i referendum) dicevano ad alta voce che nuove culture, nuove energie, soprattutto giovanili, fiorivano nel Paese. Che quelle energie facevano la differenza: e cioè facevano vincere, che in politica non è certo l’ultima delle necessità. Che quelle energie erano disposte a riconoscersi nella sinistra e nei suoi partiti a patto che i candidati (come Pisapia e Zedda) fossero espressi dalla primarie e fossero quindi riconosciuti come pre-eletti e non nominati. A patto che il notabilato del partito facesse un passo indietro. A patto che le leadership di partito adottassero almeno alcune delle idee-forza (referendum contro la privatizzazione dell’acqua, per esempio) nate dal basso, in rete, dal corpo vivo della società. Che cosa resta di tutto questo? Temo molto poco. La diffidenza della politica “classica” nei confronti delle nuove aggregazioni di massa (e di generazione) rimane forte, evidentemente, perfino quando queste aggregazioni portino in dote la vittoria. La mia paura più profonda è che il Pd (come tutti i partiti) non consideri “vittoria” un processo del quale non abbia l’egemonia o il controllo totale. Che il suo personale politico abbia paura di confrontarsi fino in fondo con nuovi soggetti politici più giovani e più energici. E poiché credo che la politica abbia comunque bisogno dei partiti, mi dispiace molto constatare come il quasi miracoloso equilibrio tra società e politica, tra movimenti e partiti che si era materializzato davanti ai nostri occhi increduli la primavera scorsa, sia già un ricordo del passato. Lo dimostra il reticente, balbettante appoggio dato da Bersani e dal Pd alla raccolta delle firme per il referendum contro la legge-porcata di Calderoli. I cittadini hanno poi provveduto da soli a raccogliere le firme. Ma perché tanto timore di condividere la propria corsa con la parte più sana e saggia della società, specie se è una corsa vincente? Gelosia? Miopìa? Paura della storia?
Michele Serra (Il Venerdì di Repubblica, 30 settembre 2011)