Il referendum No Porcellum è una truffa?

Premessa (breve)
Come sapete da qualche settimana Valigia Blu è in prima linea per sostenere il referendum No Porcellum. Ieri sulla mia bacheca personale è nata una discussione con un mio contatto Guido Iodice, che accusa il referendum in questione di essere una truffa.
Nel corso della conversazione (in cui io tra l’altro invitavo Guido a entrare nel merito delle critiche senza parlare di truffa) Guido ha sottolineato il problema della “reviviscenza” (non è detto che abrogando il porcellum si ritorni automaticamente alla legge precedente, ma ci sarebbe un vuoto legislativo): “diversi costituzionalisti ritengono proprio il referendum Parisi inammissibile perché non sarebbe applicabile la reviviscenza della norma”.
Guido ha anche riportato un testo del prof. Andrea Morrore del 2007, in cui l’attuale presidente del Comitato referendario si dichiarava contrario alla “reviviscenza”.
A questo punto io ho chiesto l’amicizia su facebook al prof. Morrone e l’ho taggato nella discussione.
Vi riportiamo qui la sua risposta (lunga :D ). Update: alla fine dell’articolo ho aggiunto la replica di Guido.
P.S. Non posso non sottolineare la bellezza di quello che è successo, grazie ad un utilizzo “positivo” e “propositivo” di facebook, come network che favorisce incontri, confronti, discussioni, condivisione. Come sempre tutto dipende dall’uso che si fa degli strumenti che abbiamo a disposizione. La rete è una cosa meravigliosa!
Arianna
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Fa piacere, specie per un professore universitario, discutere dei propri scritti anche fuori dall’Accademia, specie se a interessarsene sono cittadini appassionati, impegnati politicamente e attenti a cogliere anche le più sottili sfumature argomentative.
Si discute, in particolare, di una mia opinione, espressa qualche tempo fa in un saggio, intorno alla possibilità della reviviscenza di norme abrogate da una legge successiva, mediante l’abrogazione, per mezzo di un referendum popolare, di quest’ultima legge (cfr. Sull’ammissibilità dei nuovi referendum elettorali, sui poteri del legislatore e sulla reviviscenza del “Mattarellum”, in Astrid, I referendum elettorali, Firenze, 2007).
L’interesse non è casuale: ho promosso due referendum elettorali per abrogare la legge Calderoli (nota come legge porcata) con l’obiettivo proprio di ripristinare il Mattarellum, ossia la legge in vigore in precedenza. Rileggendo quel saggio potrebbe sorgere il dubbio che il Presidente del Comitato referendario abbia cambiato idea, avendo allora sostenuto e argomentato l’impossibilità giuridica della reviviscenza.
Meglio chiarire, per fugare il sospetto che dietro i miei due referendum si nasconda… una truffa.
Quello che circola in rete è uno stralcio di un mio ampio saggio scientifico intorno all’ammissibilità dei referendum elettorali, parte di una serie di ricerche che, da anni, conduco in materia (chi vuole può leggere il volume La Repubblica dei referendum, edito da “il Mulino” di Bologna nel 2003, scritto con Augusto Barbera, o gli altri studi che possono essere trovati sfogliando il mio Cv Scientifico).
Non è un’opinione occasionale che può essere letta da sola e fuori contesto, ma il frutto di alcune ricerche condotte e discusse in sede accademica. E, proprio in materia scientifica, è abbastanza noto, che non esistono evidenze assolute, ma solo risultati provvisori e relativi. Del resto, tutti gli studiosi possono e – perbacco! – hanno il diritto di cambiare opinione! Anche io dunque, specie se, approfondendo gli studi, le ricerche conducono a risultati diversi da quelli ipotizzati o raggiunti in precedenza. Ma questa è un’altra storia.
E sì, perché, detto questo, con riferimento al tema della reviviscenza, rispetto a quanto scrivevo nel saggio del 2007, devo affermare che io non ho affatto cambiato idea.
Chi avesse la bontà di leggere l’intero scritto in questione, si accorgerebbe che l’ipotesi dalla quale partivo per discutere criticamente della c.d. proposta Castagnetti (ossia, quella per un referendum abrogativo totale della legge n. 270 del 2005 – la celeberrima legge porcata – e, cioè, proprio il primo dei due referendum che abbiamo presentato in Corte di cassazione), era il fenomeno dell’abrogazione e i suoi effetti. Come sanno i giuristi, l’abrogazione regola la successione delle leggi nel tempo: la legge successiva abroga la precedente, nel senso che ne delimita nel tempo gli effetti. Per il passato vale la legge abrogata, per il futuro quella che dispone l’abrogazione.
Detto questo, è altrettanto pacifico che dell’abrogazione è difficile dire quali siano esattamente le conseguenze giuridiche. Le diverse opinioni esistenti in dottrina, che in quel lavoro passavo in rassegna, sono riconducibili a due letture prevalenti. C’è chi considera l’abrogazione un fenomeno istantaneo e definitivo, nel senso che la disposizione abrogata cessa definitivamente di avere effetto; c’è chi la considera un fenomeno dinamico, i cui effetti vanno, di volta in volta, ricostruiti dall’interprete, e che, quindi, non produce conseguenze definitive, ma mutevoli a seconda dell’interprete e del contesto.
Già porre questa alternativa, equivale a manifestare che in letteratura non esiste una comune visione dell’abrogazione e dei suoi effetti. Si tratta di scegliere e di ricostruirne le possibili conseguenze. Chi opta per la prima lettura, dovrebbe logicamente mettere in dubbio la possibile reviviscenza derivante dall’abrogazione della disposizione abrogativa; chi opta per la seconda, invece, dovrebbe aprire proprio a quest’ultima possibilità. Nel mio saggio esprimevo implicitamente una preferenza per la prima soluzione. Questo perché ritenevo e ritengo che l’abrogazione espressa (e solo quella espressa) limiti in sé e per sé le possibilità interpretative circa l’effetto abrogativo.
Questo discorso, riferito all’abrogazione espressa disposta dal legislatore, dovrebbe valere anche per l’abrogazione referendaria: che è comunemente ritenuta una variante dell’abrogazione espressa. La Costituzione prevede, infatti, che il referendum sia diretto all’abrogazione di leggi e atti aventi valore di legge (art. 75), che vanno esattamente indicati nel quesito (“Volete voi l’abrogazione della legge…?”).
Ma qui si apre un altro problema giuridico: perché la Corte costituzionale, rileggendo la Costituzione, ha stabilito che i referendum abrogativi in materia elettorale devono essere non solo abrogativi, ma anche propositivi, ossia ad effetto “autoapplicativo”. Ciò significa che se si vuole abrogare una legge elettorale non si può lasciare il vuoto, spazzando via ogni regola, ma devono residuare sempre delle disposizioni funzionanti, per fare eleggere senza soluzione di continuità gli organi costituzionali interessati. Ma quali disposizioni?
Questo è il problema! Ed è un problema aperto, dato che la ricostruzione della “normativa di risulta” è una questione di interpretazione, che non può essere risolta automaticamente e una volta per tutte.
Ho sempre criticato la giurisprudenza creatrice della Corte costituzionale in materia di referendum elettorali (nata nel 1987 in occasione del referendum contro la legge elettorale del Consiglio superiore della magistratura): proprio perché, stravolgendo il senso dell’art. 75 Cost., ha finito per generalizzare la seconda tesi sugli effetti dell’abrogazione (quella che la considera un fenomeno dinamico) e, quindi, perché l’ha, di fatto, trasformata in un fenomeno sempre soggettivamente apprezzabile, sempre rimesso alla discrezionalità dell’interprete. La mia preferenza per prima tesi, quindi, si giustificava anche per una questione di fedeltà al testo della Costituzione, con l’obiettivo di politica del diritto di riportare la giurisprudenza costituzionale dentro la Costituzione.
Per limitarne la creatività, dunque, che, specie in materia di referendum elettorali, ha condotto ad esiti che sono, per usare un eufemismo, molto incerti (il che, lo dico tra parentesi, rende inutile qualsiasi discussione scientifica, e svuota di contenuto anche quello che scrivevo in quel saggio).
In secondo luogo, la conclusione alla quale arrivavo allora, partendo da quella premessa, era riferita solo al “referendum Castagnetti”, ossia all’abrogazione totale della legge n. 270 del 2005. Non è un caso che il Comitato referendario, che ho l’onore di presiedere, ha presentato un secondo quesito, molto più lungo e complesso, questo sì veramente originale rispetto alla discussione di quegli anni. Tecnicamente questo secondo referendum abroga puntuali disposti normativi della legge n. 270 del 2005. L’obiettivo è lo stesso, abrogare la legge Calderoli, solo che qui anziché usare l’accetta (come nel quesito Castagnetti), si usa il bisturi, colpendo chirurgicamente tutte le disposizioni che ordinano la sostituzione normativa, facendo così venir meno la possibilità di applicare le nuove regole contenute nella legge n. 270 del 2005.
Per finire: proprio perché nel 2007, in quel saggio che oggi confermo in toto, riconoscevo la debolezza teorica (qualora si fosse assunto, come assumevo, il carattere istantaneo dell’abrogazione espressa) che sorreggeva l’impianto del referendum Castagnetti ho confezionato il secondo quesito. Presentare il secondo referendum abrogativo della legge Calderoli, quindi, costituisce una risposta pratica ai miei dubbi di studioso. Presentarli entrambi, invece, rappresenta solo uno scrupolo in più di fronte all’alea del giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale.
La prossima volta parlerò nel merito dei quesiti.

Andrea Morrone
Presidente del Comitato referendario per i collegi uninominali – Co.Re.CU., professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Bologna


Ringrazio il professor Morrone per la puntuale replica. Tuttavia essa non fuga i dubbi che ho espresso per almeno due motivi (quanti sono i quesiti referendari di cui discutiamo).

1. Il professor Morrone sostiene di non aver cambiato idea rispetto al suo saggio del 2007. Se così fosse, allora non si capisce come mai egli abbia presentato un quesito identico a quello proposto (solo sulla carta) da Castagnetti, da lui così veementemente criticato nel suddetto saggio. L’unico motivo che riesco a figurarmi è legato al fatto che il professore è uno scienziato del diritto: come tale vuole condurre un esperimento per verificare se la sua tesi di allora sia corretta o meno, sottoponendo alla Corte proprio il “quesito Castagnetti”. Se è così, come scienziato, fa benissimo, ma dovrebbe ammetterlo esplicitamente. In tal caso, come cittadino, mi rifiuterei di spendere soldi e tempo nella raccolta di centinaia di migliaia di firme al solo scopo – mi si perdoni l’ironia – di aumentare il prestigio del professor Morrone. Fuor di battuta, il minimo che si possa dire è che la presentazione di quel quesito è politicamente inopportuna e probabilmente controproducente.
2. Nella replica il professore spiega che egli ha presentato anche un secondo quesito, tecnicamente diverso ma identico nel risultato, che non abroga tout court la legge Calderoli, bensì “opera con il bisturi” (si potrebbe obiettare dicendo ciò è vero solo in parte ma non aggiungerebbe molto alla discussione). Secondo Morrone tale quesito quindi potrebbe più facilmente superare l’esame della Corte costituzionale. Tuttavia questo non mi pare risolva il problema di fondo sollevato nel 2007 dal professore, ovvero l’automatica o meno reviviscenza della norma precedente. Anche il secondo quesito, difatti, si basa sull’assunto che la reviviscenza sia possibile in questo specifico caso. Tesi però che non convince il Morrone del 2007. Scrive infatti proprio sull’ipotesi di una abrogazione “col bisturi” della Legge Calderoli, avanzata da Massimo Luciani:

“Formalmente [...] è da dimostrare che la legge n. 270 del 2005 [il porcellum], nelle sue disposizioni sostitutive, realizzi un caso di abrogazione mera, l’unica ipotesi che in parte della dottrina è considerata quale presupposto necessario della reviviscenza. In ogni caso, questa ipotesi non aggiunge nulla di nuovo per superare l’obiezione principale, circa la non automaticità dell’effetto di reviviscenza.”
Continua ancora più esplicitamente:
Abrogare la disposizione “L’articolo … è sostituto da” può solo significare (in negativo) che non c’è più una sostituzione normativa, ma non anche (in positivo) quale è la disposizione applicabile in concreto, senza una volontà chiara e espressa in tal senso.
Aggiungo che nelle note tecniche sui due quesiti scritte dal professor Morrone, vengono citati come “ideatori” degli stessi proprio Castagnetti e Luciani, a dimostrazione che non si tratta di ipotesi differenti da quelle che egli aveva stroncato nel saggio del 2007.
Insomma a me pare che il professor Morrone stia giocando con il fuoco. Come accademico è apprezzabile che lo faccia. Ma quando inizia la raccolta di firme per chiedere un referendum, si scende dall’Accademia alla politica, si impegnano il tempo, le risorse economiche e persino i corpi delle persone. Senza una ragionevole certezza che i quesiti siano effettivamente in grado di superare il vaglio della Corte, sarebbe stato meglio continuare a discutere dell’argomento nei seminari e impegnarsi invece a sostenere i defunti quesiti Passigli, che per lo meno non pretendevano di far rivivere una norma abrogata. Quesiti di fatto uccisi – val la pena ricordarlo – proprio dal sopraggiungere dei referendum Morrone-Parisi appoggiati dai media che invece avevano ostracizzato quelli di Passigli.
Guido Iodice

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No Porcellum. Caro Bersani, altro che cappello qui serve metterci la faccia

Il segretario del PD Pierluigi Bersani ha rilasciato una serie di dichiarazioni, in questi ultimi mesi, a proposito della raccolta firme per il referendum contro il Porcellum.

Riporto di seguito alcune di queste dichiarazioni, che raggruppo qui sotto per poi commentarle, ritenendole altamente istruttive:
1- Vorrei che nessun partito mettesse il cappello sul referendum [...] detto questo, i promotori stanno raccogliendo le firme alle nostre feste, e se quando arriviamo al referendum decidiamo che si deve combattere, combatteremo
2- Il quesito referendario non corrisponde esattamente a quello che noi vogliamo e pensiamo che la via parlamentare sia quella che tocca a un partito. [..] siamo amichevoli anche con chi si muove sul referendum perché riteniamo possa essere uno stimolo al Parlamento a far presto e perché, in extrema ratio, può essere uno strumento per superare il Porcellum che è una legge demenziale.
3- Il Pd non promuove i referendum, perché si tratta di strumenti a disposizione della società civile [...] Il Pd può appoggiare un referendum […] ma non promuoverli se vogliamo avere un buon equilibrio tra partiti e società civile.
Dichiarazioni istruttive, dicevo, perché possiamo tranquillamente leggervi il fallimento politico del ceto dirigente del PD, o la confusione del suo segretario. Esagero? Vediamo nel dettaglio.
A leggere quanto attribuito a Bersani, sembra che nel paese da una parte ci siano i partiti, e dall’altra la cosiddetta società civile. Ma questa, mi pare, è l’accusa urlata quasi quotidianamente da chi si fa paladino dell’antisistema: il divario incolmabile tra i cittadini da una parte e i politici che perseguono solo ed esclusivamente i propri interessi dall’altra. Quella di Bersani, in sostanza, più di una strategia politica è un’ammissione di colpa di fronte a una simile accusa.
Inoltre, se “società civile” e “partiti” sono su sponde diverse, viene da chiedere: in cosa i partiti sono diversi? Nel non essere “società” o nel non essere qualcosa di “civile”? La distinzione appare illogica, elitaria e sostanzialmente oligarchica: anche se la legge elettorale è “demenziale”, nella visione di Bersani solo chi è stato eletto può partecipare ad un qualunque processo politico volto a modificarla.
Referendum e attività parlamentare sembrano iniziative inconciliabili. Ma questo è falso per due motivi.
Primo, il referendum non è stato promosso dalla fantomatica “società civile”, ma ha visto spendersi personalmente un parlamentare del PD, Arturo Parisi.
Secondo, l’articolo 75 della Costituzione non parla né di partiti né di società civile: questa distinzione è solo nel pensiero di Bersani. Lo stesso PD, nell’articolo 27 del proprio Statuto, cita lo strumento del “referendum interno”.
Per le dinamiche di partito i referendum vanno bene, mentre per questioni di interesse nazionale no?
È dal 2007, inoltre, che si parla nel centro-sinistra di dopo Porcellum, alternative al Porcellum, e anche allora il referendum era visto con sospetto e sfiducia: alcuni parlamentari hanno cambiato idea, altri no, ma non mi pare questo il punto. Il dato è che la raccolta firme lanciata lo scorso 5 luglio costituisce, dal 2007 a oggi, la prima iniziativa politica concreta presa sull’argomento.
Prima, ma non unica: la seconda è la proposta di legge del PD, curiosamente presentata in Parlamento il 26 luglio scorso. Sul sito del PD si legge che: Lo stesso Bersani ha preannunciato all’ultima direzione nazionale del partito che il Pd chiederà la calendarizzazione della proposta in Senato, in quota opposizione, entro il 30 settembre.
La raccolta firme, curiosamente, terminerà il 30 settembre. Questa improvvisa accelerazione, dopo 4 anni di tentennamenti borbonici, sembra un modo poco elegante di boicottare il referendum. Anche perché, sia chiaro, la raccolta firme non è stata decisa il 4 luglio e dichiarata pubblicamente il 5: c’è naturalmente un retroterra di contatti, dibattiti, mobilitazione.
Non si tratta dunque, di quel che dice Bersani, ossia di “società civile” da una parte e “partiti” dall’altra. Si tratta di PD mobilitato per il referendum da una parte e PD mobilitato per bloccarlo dall’altra. E gli elettori? Non sono società civile? Non sono anche tra gli iscritti al Partito Democratico?
Naturalmente scrivo da persona coinvolta direttamente nella raccolta firme, e a tal proposito una cosa va detta. Io non raccolgo firme in quanto “società civile”. La “società civile” è un concetto di per sé astratto: è un’espressione linguistica per indicare un gruppo di persone, ha un valore ideologico, ma un partito è disciplinato giuridicamente, la “società civile” no. Io ho deciso di raccogliere firme perché la mobilitazione mi si è imposta come unica alternativa a dei partiti troppo presi dal restare immobili a discutere, immobilità che ha perpetrato per almeno 4 anni una legge definita dallo stesso Bersani “demenziale”.
Dichiararsi contrari nelle interviste, ma non intraprendere iniziative concrete, è suonato in questi 4 anni come una presa in giro. È un mio problema di sfiducia? Forse, o forse è memoria di quanto è successo con il referendum sull’acqua, quando Bersani dichiarava: “Pur guardando con simpatia chi si batte per l’acqua – ha detto – preferiamo presentare una legge direttamente in parlamento”.
Raccogliere firme è un’attività faticosa che richiede tempo e competenze, poiché bisogna conoscere i regolamenti, pena l’invalidazione delle firme. Richiede dei costi, perché la raccolta firme va fatta con continuità: un giorno di banchetto in più può fare la differenza, visto il poco tempo, e se uno raccoglie firme non può lavorare. Inoltre stampare i moduli costa, sedie, banchetti e gazebi non si trovano per strada.
Avere l’appoggio di un partito rappresenterebbe un aiuto concreto e fattivo, in termini di risorse, strutture, persone e promozione: non si tratterebbe certo di “mettere il cappello” sull’iniziativa a mo’ di griffe, di stampare sui moduli e sui gazebi Sponsored by Pierluigi Bersani.
Le parole di Bersani, dunque, appaiono una cortese ma sostanziale dichiarazione di boicottaggio verso la raccolta firme. Quando parla dell’essere “amichevoli anche con chi si muove sul referendum”, quell’anche riesce a esprimere perfettamente la malcelata ostilità.
Che vuol dire “anche”? Vuol dire per caso “guarda quanto siamo buoni e bravi, vi sopportiamo e ci mostriamo cortesi anche se fate una cosa che non ci piace”? Il senso parrebbe questo.
Faccio un esempio concreto. Nella mia città, Perugia, il centro storico sarà occupato dalla festa degli Enti Locali, denominata “Effervescenza democratica” dal 16 al 25, ossia l’ultima settimana utile per la raccolta firme. Una sorta di semi-festa del Partito Democratico, in sostanza, festa che di solito si teneva a Pian di Massiano, nei pressi dello Stadio. Uno spazio pubblico e nevralgico per la vita della città sarà completo appannaggio di un partito.
Ora, se i partiti sono da una parte, e la società civile dall’altra, come si concilia questa visione con la necessità pratica della raccolta firme? Mi sarà consentito mettere il banchetto in quella settimana, o dovrò mediare con il partito perché mi si lasci una briciola di centro-storico?

A chi promuove il referendum, e più in generale ai cittadini, serve che la classe dirigente del PD, più che il cappello, metta la faccia.
Matteo Pascoletti
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Corrado Guzzanti sulla nostra Democrazia

Un immenso Guzzanti sulla Democrazia in Italia. Il discorso è del 2003. E siamo ancora qui.

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Tra i due referendum il “porcellum” gode

Referendum, doppio referendum e contro referendum. Sembrerebbe il titolo di un film di Nanni Loy e invece sono le tre proposte di abrogazione e superamento del “Porcellum” presentate in poco più di due settimane a partire dalla metà di giugno.

Allo stato attuale sul tavolo ci sono, infatti, la campagna referendaria “Io firmo. Riprendiamoci il voto” del Comitato per il Referendum sulla legge elettorale, guidato da Stefano Passigli, e per la quale il 30 giugno scorso è iniziata la raccolta delle firme; i quesiti referendari proposti da Castagnetti, Parisi e Veltroni e che lunedì prossimo saranno presentati in Cassazione; l’annuncio fatto ieri da Bersani di un testo di riforma della legge elettorale che il Pd sarebbe pronto a presentare al Senato.

Cerchiamo di fare ordine e di entrare nel merito delle proposte in campo.

Referendum “Passigli”
Il referendum promosso da Stefano Passigli prevede tre quesiti. I primi due quesiti abrogano le liste bloccate che, di fatto, costringono gli elettori a votare solo i simboli di partito senza poter esprimere alcuna preferenza e senza poter scegliere tra i candidati in lista; abrogano l’obbligo per le coalizioni di indicare un candidato premier; abrogano, inoltre, l’attribuzione del premio di maggioranza per la Camera, che attualmente permette alla coalizione che ottiene anche solo un terzo dei voti totali di conseguire il 55% dei seggi. Il terzo quesito modifica il meccanismo attuale con cui si elegge il Senato, sostituendolo con un sistema proporzionale, privo di premio di maggioranza e con eletti in collegi uninominali.
Nel caso in cui i tre quesiti passassero, verrebbe fuori una legge elettorale immediatamente funzionante e che prevederebbe un sistema proporzionale con la possibilità di esprimere una preferenza per la Camera e, su base regionale e con collegi uninominali, per il Senato, con soglia di sbarramento per accedere alla Camera per ciascun partito al 4 per cento. Sarebbe possibile votare partiti stretti in coalizione e non direttamente il candidato premier di una coalizione. In questo modo, sarebbe prerogativa del Capo dello Stato l’individuazione del futuro Presidente del Consiglio sulla base degli equilibri tra i partiti (o coalizioni) eletti.
La nuova legge elettorale espressione del referendum ideato da Passigli è ambigua e si presta a diverse interpretazioni. Sarà possibile stringere le coalizioni prima o dopo le elezioni? è questo interrogativo che sposta l’asticella tra il ritorno a un sistema proporzionale puro e il mantenimento del bipolarismo.

Referendum “Parisi”
Proprio sulla salvaguardia della vocazione maggioritaria e del bipolarismo si fonda invece il referendum promosso da Parisi, Castagnetti e Veltroni. La proposta dei tre esponenti del Partito Democratico si articola intorno a due quesiti: il primo abroga il “Porcellum”, il secondo interviene in modo chirurgico in previsione di un ritorno al cosiddetto “Mattarellum” (da Sergio Mattarella, ex Partito Popolare e ora Pd, il suo principale ideatore), che prevede l’assegnazione del 75% dei seggi per Camera e Senato mediante un sistema maggioritario a turno unico e l’assegnazione del restante 25% con un meccanismo proporzionale con soglia di sbarramento al 4% per la Camera, e su base regionale al Senato, mediante un complicato meccanismo di ”scorporo”.

Col ripristino di tale sistema elettorale e dei collegi uninominali, si potrebbe ricostruire un rapporto tra eletti ed elettori, e tra questi ultimi e il territorio in cui si candidano.

Contro queste due proposte referendarie, Bersani ha lanciato nelle ultime ore il contro referendum, ovvero la proposta di riforma della legge elettorale che il Partito Democratico potrebbe presentare al Senato nei prossimi giorni.
In attesa di conoscere la riforma di cui Bersani si è fatto carico, e al di là delle diatribe tra opposti contendenti, nelle cui pieghe non vogliamo entrare, Valigia Blu individua nella proposta di Parisi una via che faccia sì che i cittadini possano scegliere i propri candidati e che ci sia un confronto diretto e continuo tra parlamentari e territorio in cui vengono eletti.
Come detto in precedenza, il premio di maggioranza non è un male – è un male per come è stato voluto e votato nel 2005 da Forza Italia, Alleanza Nazionale, UDC e Lega Nord – visto che, appunto, non prevede una soglia minima, ma trasforma in maggioranza assoluta chiunque ottenga più voti, fosse anche un solo voto.
Siamo, dunque, per il bipolarismo e sosterremo il referendum promosso da Parisi e da parte del Pd, per ridare a noi cittadini italiani l’esercizio di un diritto fondamentale in democrazia: la possibilità di eleggere i propri rappresentanti. È così difficile potersi sentire come gli inglesi, ad esempio?

Angelo Romano

 

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Missione No Porcellum

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Partito No Porcellum? Allora ti voto.

L’iniziativa No porcellum, nata da Valigia Blu rilanciando la mobilitazione di Libertà e Giustizia “Mai più alle urne con queste legge”, va chiarita bene, soprattutto dopo la presentazione di ieri dei quesiti referendari per abolire questa legge elettorale, iniziativa che non è di Valigia Blu, ma di un comitato di cui fanno parte diversi professori, intellettuali e protagonisti della vita civile di questo Paese.

Il nostro obiettivo è abolire la “porcata” (così definita dallo stesso ideatore della legge, il ministro Calderoli): l’aspetto più odioso di questa legge è il suo togliere ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Ma è da rigettare anche quel premio di maggioranza, che così com’è appare una vera e propria truffa, e che senza una soglia minima è tra l’altro ai limiti di costituzionalità:

…il Porcellum, fondato su uno smisurato e inaccettabile premio di maggioranza. Un premio in virtù del quale la maggiore minoranza (anche se fosse soltanto, per esempio, del 30 per cento dei voti) conquista il 55 per cento dei seggi in Parlamento. Si capisce che questo sistema piaccia al Cavaliere, che lo dichiara intoccabile.
(Giovanni Sartori – Corriere della Sera – 7 novembre 2010)

Sia chiaro, dunque, il premio di maggioranza non è un male – è un male per come è stato voluto e votato nel 2005 da Forza Italia, Alleanza Nazionale, UDC e Lega Nord – visto che, appunto, non prevede una soglia minima, ma trasforma in maggioranza assoluta chiunque ottenga più voti, fosse anche un solo voto. Se il referendum lanciato ieri avrà come prima conseguenza una forte pressione sui partiti perché si diano da fare per cambiare questa legge elettorale, ben venga.

Ma vogliamo essere realisti, ed è per questo che siamo scettici sulla possibilità che nel 2012 o nel 2013 si vada a votare con una legge ‘deporcellizzata’. E allora la nostra iniziativa è questa: rivolgerci ai partiti, tutti, e prima di tutto certificare le loro intenzioni di cambiare questa legge (sarebbe già un primo passo, e in questo senso il PD ha dato chiare indicazioni). Il passo più importante sarà chiedere ai partiti, qualora fossimo costretti a votare con la legge porcata, di coinvolgere i cittadini nella composizione delle liste elettorali. Fare scegliere agli iscritti attraverso primarie a tutti i livelli.

Qui su questo sito ci impegniamo perciò a registrare le intenzioni e gli impegni dei singoli partiti. Chi dichiarerà di scegliere la strada della trasparenza e del coinvolgimento degli iscritti (aggirando così almeno in parte “la porcata”) riceverà così la simbolica certificazione “No Porcellum”. La nostra sarà una sorta di guida. Saranno poi i cittadini a scegliere se affidarsi a partiti che impongono i loro candidati dall’alto o a partiti che scelgono con gli iscritti i propri candidati. Perché è ora di restituire ai cittadini il diritto di scegliere, e di dire “mai più” a un Parlamento di nominati anziché di eletti.

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Io firmo. Riprendiamoci il voto. Al via il referendum anti-Porcellum

Fonte: Repubblica.it

Presentata questa mattina a Roma una nuova campagna referendaria per cancellare i punti più controversi della legge Calderoli. Dalla prossima settimana via alla raccolta delle firme. Obiettivo: 500mila entro la fine di settembre

di CARMINE SAVIANO

ROMA - Liste bloccate, premio di maggioranza, deroghe alla soglia di sbarramento, obbligo di indicazione del candidato premier. Quattro punti. Quattro disposizioni che fanno del Porcellum, una legge elettorale “da cancellare al più presto”. Dando, attraverso un referendum abrogativo, la parola ai cittadini.

È “Io Firmo. Riprendiamoci il voto”, iniziativa del Comitato per il Referendum sulla Legge Elettorale, che stamattina a Roma, ha lanciato una nuova campagna referendaria. Si parte la prossima settimana con la raccolta delle firme per eliminare una delle distorsioni più nocive del sistema politico italiano.

Una mobilitazione trasversale, che nasce nella società civile, per mettere un freno ai danni prodotti dal Porcellum: trasformismo, frammentazione, coalizioni disomogenee e ingovernabili. Per questo, secondo Stefano Passigli, “ogni tentativo di modifica della legge è destinato a fallire”, e l’unico modo per eliminarne i difetti è “tagliare i quattro punti più discussi”. E il ricorso ai cittadini è il modo per superare l’impasse parlamentare: “Se il Parlamento riuscirà a trovare un accordo, tanto meglio. Altrimenti il referendum è inevitabile”.

Numerosi gli interventi. Tutti tesi a sottolineare gli orrori del Porcellum. Per Giovanni Sartori, “il premio di maggioranza dato a una minoranza è il vizio maggiore della legge”. Perché “questo falsa tutto il sistema politico: le leggi elettorali trasformano i voti in seggi e questa legge li trasforma male”. Poi l’indicazione dei modelli che potrebbero essere importati in Italia: “il doppio turno alla francese o quello tedesco sarebbero i due sistemi che andrebbero bene”. E sulle motivazioni del referendum: “È il rimedio contro l’inerzia dei partiti in materia di legge elettorale”.

Per Enzo Cheli, “dopo la legge Acerbo, è la peggiore legge elettorale della storia italiana”. E ancora: “Al di là delle conseguenze, come le intere aree sociali buttate fuori dal Parlamento, il premio di maggioranza dato ad una coalizione al di là di una soglia minima è a rischio di costituzionalità”. Non solo: con il Porcellum, sono saltate tutte le “soglie di ragionevolezza”. Da qui l’esigenza di intervenire sulla legge “per ragioni di manutenzione costituzionale”. Non manca la preoccupazione per il tipo di legge che verrebbe fuori se il referendum riuscisse ad ottenere il quorum: “Se passa, resta in piedi una legge proporzionale. E, soprattutto, una legge funzionante”.
 
L’obiettivo è raggiungere, entro settembre, le 500mila firme valide necessarie a presentare il referendum alla Corte di Cassazione. Tra le prime adesioni nomi molto noti della cultura italiana: Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Umberto Ambrosoli, Alberto Asor Rosa, Corrado Augias, Gae Aulenti, Andrea Carandini, Luigi Brioschi, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Carlo Feltrinelli, Inge Feltrinelli, Ernesto Ferrero. Vittorio Gregotti, Carlo Federico Grosso, Rosetta Loy, Dacia Maraini, Renzo Piano, Mario Pirani, Maurizio Pollini, Giovanni Sartori, Corrado Stajano, Massimo Teodori, Giovanni Valentini, Paolo Mauri, Gustavo Visentini, Innocenzo Cipolletta, Domenico Fisichella, Stefano Mauri, Benedetta Tobagi, Franco Cardini, Luciano Canfora, Irene Bignardi e Margherita Hack.

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No porcellum, è ora di cambiare questa legge elettorale

“Mai più alle urne con questa legge”, l’appello di Libertà e Giustizia lanciato a giugno scorso, ha raccolto il sostegno di molti intellettuali e l’adesione convinta di numerosi cittadini. Ora però serve una grande mobilitazione.

Libertà e Giustizia e Valigia Blu rilanciano l’idea di un’alleanza della società civile, singoli cittadini e movimenti organizzati, pronti a farsi promotori di una campagna di sensibilizzazione attraverso il web, gli organi di informazione, le piazze.

Un impegno diretto, per sostenere la raccolta firme e organizzarsi in comitati, sull’esperienza positiva del referendum costituzionale 2006.

Il tema del resto, come si ricorderà, è stato al centro di discussioni che hanno visto la denuncia di Ilvo Diamanti, la proposta di Massimo Salvadori su La Repubblical’appello di 42 politici e studiosi pubblicato sul Corriere della Sera.

Ridateci la nostra democrazia è il fulcro dell’iniziativa. Ridateci la sovranità che ci appartiene, perché vogliamo riprenderci il diritto di scegliere chi ci rappresenta in Parlamento. Un diritto che è stato cancellato dalla legge Porcellum e che priva il popolo elettore del più elementare e insostituibile potere di contare nelle decisioni della politica.

Contro questa legge elettorale possiamo già contare sul sostegno di alcuni politici di diverse appartenenze. L’invito è ora rivolto a tutte le segreterie di partito e a tutti i parlamentari che al di là dello schieramento intendano darsi da fare per restituire ai cittadini il diritto di avere un Parlamento di eletti e non di nominati, e cancellare un premio di maggioranza così abnorme da forzare il quadro politico, come avviene oggi in Italia, caso unico nel panorama europeo.

Per rilanciare la nostra iniziativa abbiamo scritto un appello al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che vi invitiamo a sottoscrivere: Presidente ci aiuti a tenere viva la nostra Democrazia!

A tutti, ancora una volta, chiediamo di aderire alla mobilitazione anche su facebook cliccando “mi piace” sulla pagina “ridatecilanostrademocrazia”, più saremo più potremo fare pressione sul Parlamento e sui partiti.

Libertà e Giustizia e Valigia Blu si rivolgono inoltre a tutti i gruppi editoriali, alle tv e alle radio pubbliche e private, soprattutto la Rai che dovrebbe essere al servizio dei cittadini più che dei politici, ai giornali, ai siti Internet e ai blog, per sostenere la mobilitazione e darle la visibilità necessaria a raggiungere il maggior numero di persone.

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