Legge elettorale, da martedì si inizia in Senato

Ora c’è una data, ma non l’intesa. Da martedì prossimo la Commissione Affari costituzionali del Senato comincerà ad esaminare la riforma per la legge elettorale. La decisione è arrivata oggi all’unanimità dalla Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama su proposta del presidente Renato Schifani. La commissione avrà due settimane di tempo, poi sarà una nuova riunione dei capigruppo del Senato a stabilire la calendarizzazione del testo in Aula.

L’articolo su Repubblica

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

I privilegi dei partiti. Se questa è democrazia

Dopo la sentenza della Corte, il vero problema di una nuova legge elettorale è che la devono fare i partiti per “rifare” i partiti. Con una coincidenza perfetta, le stupefacenti vicende all’interno della Lega sono state l’ultima dimostrazione per tutti, senza sconti per nessuno, che la questione non è solo di meccanismi elettivi. È anche la questione delle condizioni di democrazia elettorale in cui si trovano i nostri partiti, prima e dopo le elezioni.
Le due questioni sono strettamente connesse. Perché una legge elettorale fortemente limitativa delle scelte degli elettori è anche una legge che favorisce le oligarchie dei partiti, cioè la situazione antidemocratica che vede “pochi” con il potere di determinare le candidature di tutti. Così come regole di comunicazione mediatica che favoriscono situazioni di privilegio o di dominio nei canali di formazione del consenso elettorale feriscono la libera concorrenza, il “concorso” tra i partiti, che è elemento essenziale nella idea costituzionale di pluralismo politico.
Già, l’idea costituzionale. L’art.49 della Costituzione concepisce ed inserisce il diritto di associarsi in partiti nel sistema delle libertà. E lo lega strettamente al “metodo democratico”, come condizione di quella libertà . La storia repubblicana ha invece tradito questa idea costituzionale.
I partiti, fin dall’origine (nel, per tanti versi, glorioso Comitato di Liberazione Nazionale) sono stati considerati come istituzioni dello Stato. Spostati dunque dal sistema delle libertà e inseriti nella dimensione pubblica, hanno goduto di tutti i privilegi della statualità senza averne gli oneri: dagli arcana imperii di statuti inaccessibili ai giudici, al finanziamento pubblico senza controlli di magistrati contabili, al potere di presentare le candidature senza sentire i propri iscritti.
Questa radicata istituzionalità dei partiti, senza democrazia interna, con la sola libertà per gli iscritti di aderire o andarsene (cioè il contrario dell´associazionismo che è vita vissuta assieme) ha finito con il provocare l’assurdo attuale della “partitocrazia senza partiti”.
Della forma partito ha resistito cioè il guscio duro burocratico, una nomenclatura di vertice, il caucus di segretari alla testa di organizzazioni che hanno presenza quasi soltanto simbolica nella società. Ma leader che conservano tuttavia forza effettiva sui gruppi parlamentari, tenuti assieme dal potere di candidatura.
Ecco perché la questione della legge elettorale si connette strettamente alla qualità dei partiti. Si deve scegliere una legge avendo in testa un modo nuovo di organizzare la democrazia fondata non su strutture amministrative ma su associazioni di libertà. E anche qui, come in tutto quello che c’è da fare nell’ordinamento costituzionale istituzionale, si deve partire dalla cultura delle garanzie. Il partito che si garantiva da se stesso, come parte fondativa elementare del sistema democratico ha perso la sua ragione d’essere.
Occorre che la libertà d’associarsi in partiti sia garantita contro le degenerazioni del potere democratico sia dentro sia fuori della forma partito sia nelle sue proiezioni parlamentari. Questo significa garanzie processuali, con magistrati super partes, per l’ordinamento interno dei partiti, per la correttezza della gestione del finanziamento pubblico, per la procedura di selezione dei candidati a cariche pubbliche. E garanzie di neutralità che si estendano anche in Parlamento: per privilegi e prerogative ormai fuori dal tempo e dal diritto.
L’autonomia parlamentare rimane sacra e intangibile in tutto quello che riguarda la operatività delle funzioni delle Camere. Ma deve continuare ad esprimersi anche affidando alle maggioranze di parte il giudizio su chi ha avuto più voti alle elezioni o sulle incompatibilità e le ineleggibilità sopravvenute? Oppure sottraendo alle verifiche della Corte dei conti persino le gare di appalto per la manutenzione dei fabbricati e i contratti di forniture? Vi è tutta una zona oscurata al diritto e ai suoi giudici e ancora coperta da una vecchia giurisprudenza, priva di misura, della Corte costituzionale.
Restituire spazio alle normali garanzie giuridiche toglierebbe molti argomenti ad una forsennata ondata antiparlamentare e antipolitica. Tanto più è necessario questo recupero delle radici costituzionali quanto più grave è il deperimento dell’associazionismo nelle società contemporanee. Occorre perciò che la forma partito non faccia “Stato a sé” ma che sia attenta e accogliente rispetto ai nuovi coaguli politici e sociali: nella “rete”, ovviamente, con tutte le avvertenze del caso, ma anche nei gruppi di mobilitazione su singoli temi, nelle proposte e proteste collettive, nei movimenti che sembrano marginali solo perché sono all´avanguardia nella intelligenza delle cose.
Intorno a noi sono in gioco tutte le idee che avevano nutrito concordanze e divisioni degli ultimi due secoli. La tensione tra campo pubblico e libertà private. Il concetto di bene comune. Le formule e la pratica delle uguaglianze. I confini del bene e del male biologici. I nuovi diritti soggettivi e le rotture delle vecchie certezze giuridiche. Le limitazioni delle sovranità nazionali e la sostenibilità dei poteri sovranazionali. La crisi strutturale tra mercati e politica.
Di fronte a tutta questa richiesta di idee e di posizioni che diano senso alle cose e speranze alla gente, i partiti hanno bisogno di rinsanguarsi come associazioni di dialogo e di progetti nella libertà. Devono cambiare insomma tutto rispetto alle loro attuali deformazioni burocratiche, personalistiche, patrimoniali, alla loro chiusura nelle mani di pochi.
La Corte costituzionale con la sua sentenza si è preoccupata, ragionevolmente, di non creare un vuoto tecnico-giuridico di legislazione. Ma il fatto è che il vuoto c’è già: etico-politico. Non solo perché l’attuale legge elettorale ha un deficit di credibilità così alto da togliere legittimazione a qualsiasi guida politica che si basi su di essa, ma anche perché, terminato il ciclo della “Repubblica dei partiti”, non siamo riusciti a creare nuove forme di aggregazione e di consolidamento sociale che diano garanzie di cultura politica e di metodo democratico, come vuole la Costituzione. È quel che si deve fare.

Andrea Manzella - La Repubblica, 24 gennaio 2012

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

Il dovere della riforma elettorale

LA QUESTIONE della legge elettorale è molto complicata dal punto di vista tecnico, ma è molto semplice dal punto di vista politico.

Prima di tutto, è pacifico che siamo di fronte ad una sorta di mostro che tutti hanno rinnegato: una “porcata”, come l’autore l’ha definita, con nomi, cognomi e responsabilità precise, costruita a colpi di maggioranza nel pentolone nero di Berlusconi e Calderoli per favorire lo schieramento di destra.

È altrettanto chiaro che la legge espropria i cittadini elettori del diritto di scegliere i loro rappresentanti, consegnando ai leader dei partiti il potere di decidere non sulla candidatura, ma sull’elezione dei loro protetti, o di chi a loro si è venduto: perché abbiamo assistito anche a questo fenomeno, favorito proprio dal potere che la “porcata” assegna ai capipartito.

In passato ci siamo battuti in molti contro le preferenze, oggetto di mercato e di scambio. Ma le procedure elettorali sono strumenti della democrazia e dunque il loro valore d’uso cambia secondo la sensibilità del Paese. In una fase in cui i cittadini chiedono di partecipare direttamente alle decisioni pubbliche mentre diminuisce la fiducia nei partiti, è evidente che il potere di scelta degli eletti va riconsegnato agli elettori: attraverso collegi uninominali che evitano proprio il mercato delle preferenze.

Dopo che la Corte ha bocciato il referendum il Capo dello Stato ha invitato le Camere a raccogliere comunque la spinta al cambiamento. I partiti hanno dunque ora la straordinaria occasione di fare per scelta, in autonomia e libertà, ciò che il referendum li avrebbe spinti a fare per obbligo.

Per i partiti e il Parlamento è un’opportunità e una sfida. Possono essere soggetti del cambiamento della politica, oppure saranno costretti a subirlo. Sono capaci ad aprire subito un confronto per rifare la legge? Ma prima ancora: sono pronti a impegnarsi fin d’ora, subito, a non andare alle prossime elezioni con questa legge elettorale?

Se l’intesa per una riforma non fosse possibile, resta una strada, radicale e decisiva: il Pd, che le ha già sperimentate per la scelta del suo leader, decida che si impegna oggi stesso  -  se la legge non cambierà  -  a scegliere tutti i suoi candidati attraverso le primarie. In questo modo, restituirebbe da solo ai cittadini ciò che la “porcata” ha loro tolto. E diventerebbe l’apriscatole del sistema.

Ezio Mauro (La Repubblica, 19 gennaio 2011)

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

Io voto chi mi fa scegliere

La decisione della Consulta sull’inammissibilità dei referendum non modifica la sostanza del dibattito pubblico attorno alla legge elettorale.

Esiste un patrimonio di attivazione, di impegno prodotto da un milione e duecentomila cittadini e che è ancora intatto. La richiesta del ritorno alle preferenze (intese come possibilità per i cittadini di scegliere) per decidere quali siano i propri deputati e senatori, in Italia, resta maggioritaria e non è più rinviabile.

Per questa ragione Valigia Blu e Quink lanciano la campagna “Io voto chi mi fa scegliere”.

La parola passa nuovamente al Parlamento e ai partiti che hanno ora piena ed esclusiva responsabilità sul processo di riforma della legge elettorale. Non è nostro compito suggerire ricette, regole o soluzioni, ma vogliamo esprimere la nostra intenzione di premiare quelle forze politiche che si impegneranno in modo chiaro e netto per permettere ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti.

Chiediamo dunque al Parlamento e alla politica di lavorare per aprire quanti più spazi di partecipazione popolare possibili, sia all’interno dei partiti che nelle istituzioni. Perché la sfida del consenso, oggi, si gioca anche sulla qualità della vita democratica nel nostro Paese e su come la classe politica si impegna per migliorarla.

Se vuoi aderire alla campagna e sostenerla:
1) applica il Picbadge Io voto chi mi fa scegliere al tuo account facebook e twitter
2) condividi questo post su facebook e su twitter

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

In classe e in ospedale: quelli che ancora ci credono.

La salute di una democrazia passa per il valore del dovere e l’amore per il lavoro, che insieme fanno il senso dello Stato.

Da piccola, a tavola, mi lamentavo per l’ennesimo no a qualcosa visto addosso alla compagnetta , figlia di un avvocato. “Ecco! Perché tu sei solo un maestro!” “Non ti rischiare mai più, tuo padre guadagna di meno, ma serve lo Stato”. E infatti si chiama pubblico “servizio”.  Qualcuno di voi sorriderà per il sapore antico,  trapassato remoto, di questo racconto. Io invece, che ci sono cresciuta, ci ho creduto così tanto da “servirlo” a mia volta, lo Stato, e da ripetere la stessa frase con identiche convinzione e soddisfazione. Sono cresciuta in una famiglia  sana e felice di impiegati statali, non la famiglia del Mulino Bianco, bensì quella dei sacrifici perenni ma coi sonni tranquilli della gente perbene, lavoratori del pubblico. Qualcuno di voi starà sorridendo nuovamente, qualcun altro invece sentirà familiare il senso di appartenenza e di partecipazione a qualcosa di importante.

Chissà se queste parole arriveranno al vigile del fuoco, quello che si butta tra le fiamme e supera le polemiche dell’aver avuto un Bertolaso a guidarlo,offendendone il valore,  come io faccio di tutto per dimenticare di avere per ministro la Gelmini. O all’infermiera che ebbe un alterco proprio con l’ anziano maestro in pensione, un po’ rompipalle, che voleva accorresse subito quando lei da sola doveva “servire” un intero piano di malati. Perché i tagli hanno raggiunto anche le corsie degli ospedali. “Papà, guarda che lo Stato lo serve anche lei, cerca di essere un po’ paziente”. O se prenderà in mano L’Unità oggi  il ferroviere che mi timbra il biglietto sul trenino tra Fiumicino e Termini, rimproverandomi perché lo annullo sempre con la penna, arrivando di corsa “Ma lei è siciliana?Che bella terra..” “Si, sono un ‘insegnante” “Allora deve stare più attenta” detto con familiarità, perché anche lui serve lo stesso Stato. E poi c’è la mia amica Carmen, che fa la psichiatra in corsie sempre più difficili, i turni di notte “tra i miei mattarelli”, riposa pochissimo in una brandina e si porta pure lei la carta igienica da casa, “ma dai, anche voi?” e le vedo illuminarsi gli occhi, a lei, che non fa visite private, “non lo faccio per soldi questo mestiere”. Per dire che sì, i soldi fanno comodo,  chi lo nega?

Ma c’è dell’altro, per noi che guadagniamo sempre meno: c’è il valore del dovere, l’amore per il lavoro, in una parola “il senso dello Stato”. No, non siamo scemi, anche se è un valore che ci riempie il cuore a molti di noi, ma non la testa. Perché  tutto potrebbe essere più civile, senza lotte di religione “contro i fannulloni di turno”, semplicemente se fosse meglio organizzato. Come là  dove si è capito che il welfare statale, e lavoratori annessi, ha il valore che gli spetta in una scala di priorità sociali. E cioè altissimo. Non per chissà quale sovrumana, ingiusta, privilegiata ragione, non per  eroismi carichi di sacrifici personali, ma solo perché aiuta a vivere meglio, se si coniugano parole come solidarietà ed efficienza, sussidiarietà tra pubblico e privato, senso dello Stato con valore del vivere sociale.

Lavorare per lo Stato  dovrebbe avere i caratteri “laici” del lavoro ben fatto e ben organizzato,  essere garanzia per ogni cittadino e non una condanna visualizzata dalle “file” o dalle “attese”, in modo da avere minori sacrifici eroici individuali, meno Carmen, meno vigili del fuoco stravolti, meno maestri che non riescono a regalare una vacanza studio all’estero ai figli,  meno anche “furbi”, sia chiaro,  a vantaggio di una qualità generale più alta del servizio offerto e di una fiducia maggiore nel valore del vivere insieme. Cosa ci vuole? Volontà condivisa, educazione, istruzione e molta, molta, buona politica.

 

Mila Spicola (L’Unità, 8 ottobre 2011)

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

Dopo l’illusione di una primavera la sinistra teme i suoi elettori

Premesso che fare il capo del Pd è un mestieraccio, effettivamente riesce difficile capire perché lo stato maggiore di quel partito abbia dissipato in così breve tempo la preziosa lezione di primavera. Quelle elezioni (e i referendum) dicevano ad alta voce che nuove culture, nuove energie, soprattutto giovanili, fiorivano nel Paese. Che quelle energie facevano la differenza: e cioè facevano vincere, che in politica non è certo l’ultima delle necessità. Che quelle energie erano disposte a riconoscersi nella sinistra e nei suoi partiti a patto che i candidati (come Pisapia e Zedda) fossero espressi dalla primarie e fossero quindi riconosciuti come pre-eletti e non nominati. A patto che il notabilato del partito facesse un passo indietro. A patto che le leadership di partito adottassero almeno alcune delle idee-forza (referendum contro la privatizzazione dell’acqua, per esempio) nate dal basso, in rete, dal corpo vivo della società. Che cosa resta di tutto questo? Temo molto poco. La diffidenza della politica “classica” nei confronti delle nuove aggregazioni di massa (e di generazione) rimane forte, evidentemente, perfino quando queste aggregazioni portino in dote la vittoria. La mia paura più profonda è che il Pd (come tutti i partiti) non consideri “vittoria” un processo del quale non abbia l’egemonia o il controllo totale. Che il suo personale politico abbia paura di confrontarsi fino in fondo con nuovi soggetti politici più giovani e più energici. E poiché credo che la politica abbia comunque bisogno dei partiti, mi dispiace molto constatare come il quasi miracoloso equilibrio tra società e politica, tra movimenti e partiti che si era materializzato davanti ai nostri occhi increduli la primavera scorsa, sia già un ricordo del passato. Lo dimostra il reticente, balbettante appoggio dato da Bersani e dal Pd alla raccolta delle firme per il referendum contro la legge-porcata di Calderoli. I cittadini hanno poi provveduto da soli a raccogliere le firme. Ma perché tanto timore di condividere la propria corsa con la parte più sana e saggia della società, specie se è una corsa vincente? Gelosia? Miopìa? Paura della storia?

Michele Serra (Il Venerdì di Repubblica, 30 settembre 2011)

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

Dopo il trenta settembre

1.210.873 firme il quesito abrogativo totale, 1.184.447 quello parziale: il secondo migliore risultato nella storia dei referendum elettorali, dopo il “referendum Segni” del 1993, che totalizzò 1.370.000 firme. Questa volta, però, abbiamo conseguito un vero record, in ragione del tempo a disposizione, delle risorse umane e organizzative messe in campo, dei risultati raggiunti. Abbiamo consegnato in Cassazione 376 scatole il 30 settembre, come prevede la legge: ma se avessimo avuto qualche giorno ancora, le firme depositate sarebbero state molte di più, ben oltre quelle del 1993 e, forse, ben oltre quelle di qualsiasi altra tornata referendaria. Anche dopo il deposito in Corte di cassazione sono continuati ad arrivare pacchi postali con moduli, firme e certificati elettorali, segno inequivocabile di una volontà di partecipazione e di trasformazione incontenibile.

Siamo molto felici per questo risultato, assolutamente imprevedibile per le dimensioni che ha raggiunto. E’ un successo corale, di un gruppo unito, che, grazie alla caparbietà dei suoi protagonisti, è riuscito in un’impresa straordinaria. L’unità è stata la nostra forza, un’unità nelle divisioni della politica nazionale, di fronte alla diffidenza generale e, soprattutto, compatto contro gli ostacoli di chi ha cercato di farci fallire. Questo importante risultato non sarebbe stato possibile senza l’impegno di tutti, nessuno da solo ci sarebbe riuscito.

Siamo di fronte a un miracolo popolare: il Comitato non ha guidato il movimento, ma è stato sospinto dalla domanda di partecipazione della gente. I cittadini ci sono venuti letteralmente a cercare, lo hanno fatto nei comuni, nelle piazze, nella sede stessa del Comitato, a Piazza Santi apostoli di Roma. Significativo il contributo dei comuni: mai, come questa volta, la via istituzionale ha contribuito in maniera così rilevante al conseguimento del risultato. Oltre un decimo delle sottoscrizioni, infatti, provengono, dalle segreterie comunali, alle quali abbiamo mandato, dopo la prima spedizione, moduli per firmare due o tre volte di seguito.

Questa impresa è fatta da protagonisti che nessuno conosce, ma che, con impegno e passione impareggiabili, hanno dato linfa ad una macchina organizzativa semplice, artigianale ma potente. Un ordine invisibile si è generato in maniera naturale e ha fatto camminare le cose. A ringraziare tutti stanno oltre 3 milioni di firme e la consapevolezza, piace dirlo con orgoglio, di aver scritto insieme un tratto della storia di questo Paese.

Siamo solo all’inizio: ora è il tempo dei controlli, prima quello dell’Ufficio centrale per il referendum, che dovrà certificare la regolarità delle sottoscrizioni entro il 15 dicembre e, poi, quello della Corte costituzionale, che deciderà sull’ammissibilità della domanda referendaria entro il 10 febbraio. Dopo si potrà finalmente dare la parola ai cittadini, magari nella prossima primavera, per sapere se è arrivato finalmente il momento di dire basta alla peggiore legge elettorale delle Repubblica, per riconsegnare lo scettro agli elettori.

Questo referendum elettorale non dà solo voce ad una protesta, ma contiene una proposta per ridare dignità alla politica e al Parlamento. Riportando i partiti tra la gente, nei territori, affinché vengano recuperate le radici popolari della rappresentanza politica, presupposto necessario affinché possa essere rinsaldato il rapporto di responsabilità tra eletto ed elettore, che anche il Presidente della Repubblica Giorgo Napolitano indica come contenuto, ormai ineludibile, di una nuova legge elettorale. Che il Ministro dell’interno Roberto Maroni sia rimasto impressionato dalla valanga delle firme non stupisce per niente: è una plateale, tardiva, autodenuncia, l’ammissione, non giustificabile, di responsabilità per aver creato una frattura incommensurabile, tra questa classe dirigente e il Paese.

Per portare a compimento il referendum elettorale c’è ancora molto da fare, ma ora, dopo questo storico 30 settembre 2011, c’è un Comitato referendario che la Costituzione riconosce come “potere dello Stato”: vigileremo costantemente e faremo tutto quello che il diritto ci consente per dare seguito alla volontà di cambiamento della maggioranza degli italiani.

Andrea Morrone

 

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

Onorevole, ce lo firma il referendum? :D

Arianna Ciccone con la Iena Mauro Casciari a Montecitorio per chiedere ai parlamentari di firmare per il referendum No Porcellum.

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

Un Paese senza Porcellum… Proviamo a sognare

Ci penso da un po’. Il referendum raggiunge le cinquecentomila (e passa) sottoscrizioni. Il governo fibrilla e magari cade, perché senza il Porcellum (legge Calderoli) non se la sente di presentarsi alle urne. E quindi la crisi subisce un’accelerazione e si va a votare nel 2012.

In questo primo caso, il Pd tiene le primarie per scegliere i parlamentari, guadagnando credibilità e consenso tra gli elettori, restituendo loro la possibilità di contarsi e, soprattutto, di contare, scegliendo il loro candidato preferito.

C’è un’altra possibilità, che il governo rimanga in carica fino al 2013. Si celebra il referendum, passa il ritorno al Mattarellum e forse, nel frattempo, si riapre una discussione seria sulla riforma della legge elettorale in Parlamento.

Nel caso si votasse con il Mattarellum, la coalizione avrebbe un unico candidato per collegio. E allora le primarie sarebbero primarie di coalizione, anche per scegliere i parlamentari. E i parlamentari eletti sarebbero rappresentativi di tutta la coalizione e ancor più responsabilizzati. E i partiti candiderebbero quelli che possono piacere a tutta la coalizione, senza cercare di lottizzare i posti da Roma, senza insistere sulla propria corrente, senza forzare il meccanismo elettorale per i famosi equilibri interni.

In un colpo solo si perderebbero gli egoismi di partito, si aprirebbe la competizione alle eventuali auto-candidature provenienti dalla società civilissima, si supererebbero di slancio tutte le burocrazie e le idiosincrasie dell’uno nei confronti dell’altro.

Sarebbe bello, sarebbe possibile. Ma chissà perché, guardandomi intorno, ho come l’impressione che non succederà.

Giuseppe Civati

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

Il vero terrore della casta? Il referendum No Porcellum

C’è un Porcellum da abolire. E serve il nostro impegno.

… Se i canali di partecipazione sono ostruiti, se la legge elettorale impedisce agli elettori di scegliere i propri rappresentanti ma delega la scelta ai capipartito, se la rappresentanza è debole e incerta, è la politica che deve essere chiamata in causa: la cattiva politica, naturalmente…” (Ezio Mauro)
Insisto da giorni, di fronte alla cattiva politica noi cittadini siamo chiamati all’impegno e alla partecipazione affidandoci alla “democrazia” (lasciamo perdere per piacere “le rivoluzioni” e “il potere al popolo”). C’è UN REFERENDUM DA FIRMARE . Cominciamo da qui.
In Parlamento ci sono già da tempo proposte per una nuova legge elettorale (per non parlare delle 350mila firme raccolte da Grillo per una iniziativa di legge popolare e finite in un cassetto del Senato da 4 anni), ma i partiti, che si dicono – tutti – contro il Porcellum, non hanno, a quanto pare, alcuna intenzione di restituirci il diritto di scegliere i nostri rappresentanti.
Il referendum, depositato da ARTURO PARISI E ANDREA MORRONE, è una grande occasione (a proposito all’inizio a sostegno dell’iniziativa c’era anche VELTRONI, poi si è ritirato e infine ieri ha deciso di firmare… c’è grossa crisi, è evidente. Magari invece di scrivere le lettere a Repubblica potrebbe spiegare questo atteggiamento yo yo).
Servono 500mila firme entro fine settembre così da poter votare il referendum questa primavera, se ovviamente i due quesiti presentati saranno ammessi. Missione impossibile? Ci dobbiamo provare.
L’IDV SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTÀ hanno già deciso di appoggiare il referendum e la raccolta firme. Il PD per ora non risponde all’appello (io ogni giorno mi permetto di inviare questo tweet al Segretario: @PBERSANI è ora di cambiare la legge elettorale, appoggia il referendum www.firmovotoscelgo.it #noporcellum #ciao).
Intanto il prof. Prodi ha pubblicamente appoggiato i due quesiti e per ora voce solitaria dentro al maggior partito d’opposizione GIUSEPPE CIVATI con Prossima Italia si è mobilitato per la raccolta firme.
Prima di chiudere due paroline sul leggendario dimezzamento dei parlamentari che fa tanto figo in questi giorni e di cui tutti parlano da PDL a PD passando per la Lega. La dovete smettere di prenderci in giro. Questa dovrebbe essere la misura anti-casta? Dimezzare la rappresentanza mantenendo le liste bloccate? Ma io vi faccio un applauso per l’ipocrisia e per la furbata che state provando a rifilarci. A parte che per quanto riguarda la rappresentanza in Parlamento siamo IN LINEA CON ALTRI PAESI, semmai siamo i più costosi. Ma come giustamente ha scritto LUCA TELESE:
Provate infatti a immaginare: con le liste bloccate, se scompare dal parlamento un eletto su due, chi verrebbe tutelato? Ovviamente i capibastone e i leccascarpe dei leader. Essere eletti, a destra e a sinistra, costerebbe molto di più, e avremmo fatto un altro passo verso la democrazia censitaria. La democrazia degli oligarchi che sembra la nuova passione trasversale della politica italiana, la ricetta per uscire dalla crisi.

L’unica argomentazione apparentemente convincente, quella secondo cui ci sarebbe un risparmio economico, per me è risibile: basterebbe abolire un ente per gli orfani dei garibaldini o un’autorità di bacino per risparmiare di più. Mentre invece, tutto questo fumo negli occhi dei gerarchi di partito ha un unico obiettivo: sviare l’attenzione dalla madre di tutte le sciagure. Ovvero dal porcellum. Finché ci saranno i nominati, infatti, 500 o 1.000 non fa differenza, ci sarà una rappresentanza azzoppata nel nostro Paese.

Combattere la casta davvero significa spostare il potere di scelta dei rappresentanti dalle segreterie agli elettori. Punto.
Cosa fare?
1) FIRMARE vai nel tuo Comune e firma i due quesiti
2) PASSAPAROLA fai conoscere a tutti i tuoi contatti il referendum.WWW.FIRMOVOTOSCELGO.IT
3) AIUTACI a monitorare le firme confermando di aver firmato il referendum sul sitoWWW.IOFIRMOINCOMUNE.IT
Arianna Ciccone
Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento